La tv arrivò in casa mia negli anni 60, quando ero appena ragazzina, con le Olimpiadi di Berruti e Wilma Rudolph, e con loro entrarono Jader Jacobelli, Paolo Granzotto (e la sua stilografica), Ugo Zatterin, e poi Giorgio Vecchietti (che non mi piaceva) con le rispettive imitazioni del rimpianto Alighiero Noschese.
Quel doppio piano vita/satira aveva una valenza oggi perduta. Si imitavano per il loro essere seri, ma fin troppo umani e quindi soggetti a caratteristici modi di parlare, di fare, di proporsi, a qualche tic ed inflessione ma, vivaddio, fior di giornalisti colti, o almeno eruditi, dignitosamente rappresentanti anche le curiosità dei cittadini.
Chi potrebbe, oggi, far satira, seriamente, su qualcuno/a degli attuali tele giornalisti e tele giornaliste che si esibiscono col bilancino in mano e la partita doppia degli interventi, con la mediazione sempre pronta, col politically correct ossessivamente applicato, col diritto di replica che vien prima dell’intervento, con il look studiatissimo e lo schema di comportamento e di comunicazione diligentissimamente mutuati da format comunicativi preimpostati e conquistato in evidenti master dedicati e non perdono nemmeno un momento per presentare reciprocamente l’uno l’ultimo “libro” dell’altro?
E non solo.Per far satira occorre la ciccia con un sorso di rosso, mentre qui si mangia solo di magro e si beve insipida acquetta.
No, non sono nostalgica per niente, ma lo squallore è squallore. E a questo punto mi costringo a chiedermi se non sia davvero venuta meno tutta la scena, compresi baracche e burattini e se Enza Sampò, la cotonata vibrante di cui tutti ridacchiavamo un po’, non avrebbe fatto, molto meglio delle attuali tele giornaliste, la sua bella e credibile figura.
Visto che ci siamo mi riprenderei anche Ruggero Orlando, l’urlatore che agitava il braccio proclamando “qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando! “: collegamenti registrati i suoi, ma molto meno genuflessi degli attuali in diretta.