Archivi del mese: Maggio 2012

As Time Goes By – I giovani sono conservatori?

Ha scritto Lev Tolstoj: “Si tende a pensare che siano i vecchi i più fervidi conservatori, e i giovani gli innovatori. Non sempre è così. Di solito i più fervidi conservatori sono i giovani che hanno voglia di vita, ma che non pensano,né hanno il tempo di farlo, a quale sia il modo migliore per vivere, prendendo così a modello lo stile della vita preesistente.
Oggi le cose, mentre il tempo passa non sono molto diverse, ma ci sono due differenze formali:
1) oggi i cosiddetti giovani hanno esteso la categoria giovanile fino oltre i 40, ma considerano comunque vecchi chi abbia vent’anni più di loro
2) I giovani prendono a modello non lo stile della vita preesistente (che poi sarebbe quello dei loro genitori o nonni), bensì quello veicolato dal conformismo dello schema che mette in campo la competitività ed anche l’esclusione.
Tuttavia molti tra i giovani sono sempre fervidi conservatori, anzi fervidi conservatori cavernicoli.

A voi, che avete la finanza nel cuore, noi rispondiamo con

Rapsodia in arcobaleno

Rispondiamo con la nostra logica.

Rispondiamo con il nostro

essere umani.

Con l’essere bambini, donne, uomini.

Rispondiamo che le loro regole

non sono legge,

Rispondiamo ai padroni del mondo

che il denaro non è un fine.

Rispondiamo che uccide

ma non ci compra.

Rispondiamo che un mondo diverso,

e di misura umana

non è un sogno né un’utopia.

Un mondo diverso

 è un progetto comune,

lavora seriamente

non prevarica

non imbroglia nè tradisce

non profitta, non usa violenza.

 

Rispondiamo che i nostri sogni

non sono mai stati in vendita

perché idee sangue e passione

non sono solo sogni.

A reti unificate, navigando oltre la netiquette

oltre la netiquette, verso una Rete che raccolga ed unisca

 Penso alla rete come a un luogo di libertà d’espressione e una preziosa risorsa per comunicare, la considero una ambiente da rispettare e dove coltivare buoni frutti.

La rete è agile, a tratti informale, spesso spontanea, aperta al contributo di tutti quindi, per sua natura, può valorizzare una comunicazione democratica e può essere la voce di molti.

Metafora dello stare in rete è il navigare o il surfare alla scoperta di nuovi siti, ma potrebbe essere anche il camminare o il muoversi velocemente da un luogo all’altro: dunque anche esplorare, e quando si esplora non si inventa, ma si trova, e quando si viaggia non si crea, ma si scopre. Nell’esplorare e nel viaggiare si usano alcuni strumenti, ed altri se ne possono costruire per rispondere alle esigenze delle diverse situazioni che in questo caso sono situazioni comunicative. Ma quella costruzione è una risposta che non sarebbe mai nata senza l’input  della sollecitazione ricevuta.

Ecco perché, a mio avviso, in rete si comunica in molti modi: scrivendo e mettendo immagini o suoni: percorriamo infatti i canali della comunicazione, lanciamo la nostra rete, scopriamo e prendiamo, ma dobbiamo anche restituire emettendo i nostri segnali verso gli altri. La logica della comunicazione globale, istantanea, libera e interattiva, dunque, non sempre si concilia, a mio avviso, con quella tradizionale della stampa su carta o del media televisivo.

Queste sono alcune delle ragioni per cui sono sempre stata poco favorevole, al copyright su web e attualmente ne sono nettamente contraria e spesso regalo i miei testi. Ecco perché non mi piace la logica dell’editoria classica e preferisco autopubblicare.

Il web è una risorsa, è un ambiente a cui partecipiamo liberamente. Il “valore” dello scrivere o lasciar tracce in rete è proprio quello della condivisione dei pensieri nella speranza e nella fiducia che da quella libertà nasca qualcosa di meglio del tempo e del mondo in cui viviamo

Può accadere di seminare idee poi riprese e diffuse anche da altri, ma perché non considerarlo una conferma, un atto di stima invece che un furto? Certo se qualcuno usasse le nostre semine per raccogliere senza aver lavorato o, peggio, per lucrare denaro sarebbe il caso di diffidarlo dal proseguire.

Ma la modalità dello stare in rete dovrebbe essere di apertura positiva agli altri.

Invece accade di assistere a qualche discussione che diventa flame e che volino insulti o cattiverie: quando accade il mio sconcerto non si manifesta tanto sulla divergenza, pur vivace e estremizzata, delle idee, ma sul modo, sulle offese, e su quelli che definirei attacchi organizzati e concentrici, da branco e perciò davvero odiosi.

Dobbiamo registrare che può esister un mobbing da web. È davvero deludente vedere sprecata così una risorsa di dialogo, ma non possiamo nemmeno pensare che la rete sia fatta da persone diverse da quelle che popolano il mondo reale che non è certo il migliore dei possibili

Dunque l’eventualità del flame non dovrebbe scoraggiare, ma piuttosto aumentare l’autocontrollo, la correttezza dello stare in rete ed indurci ad interpretare in forma non schematica ma umana la cosiddetta netiquette che, come ogni galateo, se applicata con eccessivo schematismo può diventare un dolce veleno o un’arma a doppio taglio.

Ma, a proposito di rapporti in rete, oltre alla ricchezza dei contributi intelligenti e critici, a me è capitato di apprezzare anche la generosità e la competenza di un’amica che ha “salvato” per me, dedicandomi tantissime ore, un mio vecchio blog, Notecellulari.splinder. Senza nessun tornaconto ma per pura amicizia (cosa c’è di più bello?) Viviana ha lavorato per me e, con la sua scialuppa telematica, ha traghettato da splinder a wordpress il mio blog praticamente naufragato.

Ed ora sono felice di citarla come esempio del  bello e del buono che incontriamo nel web quando navighiamo, oltre il meridiano della netiquette, a bordo di un modesto battello ma lanciando una rete nella rete per raccogliere i doni e i tesori di questo mare virtuale.

Qualche idea sulla scuola? Ma non solo dagli addetti ai lavori

                                      A che SERVE la SCUOLA?

Breve premessa: ho scritto questo post alcuni mesi fa; mi ripromettevo di riprenderlo per farne un saggio breve, proprio sullo stile dei temi di esami di stato. Ma oggi lo pubblico così com’è. Sono stanca di bibliografie che mettono in evidenza solo gli autori. Provo, invece, a dire come la penso.

La scuola è per tutti: è  così realmente e, al di là delle affermazioni ufficiali, abbiamo davvero un’istruzione per tutti?
Cosa fa sì che, nei fatti, il nostro sistema scolastico faccia ancora registrare un alto tasso di abbandono e che una Ministro, recentemente passata ad altre attività, abbia registrato come un successo l’aumento del numero degli studenti bocciati?
Dunque, si sarebbe tentati di concludere, nella nostra scuola, esiste una quota di esclusione inevitabile e comunque necessaria a garantire i progressi degli studenti apprezzati come i migliori?
Nel secondo dopoguerra abbiamo creduto nell’alfabetizzazione di massa, è stato alzata l’età dell’obbligo scolastico ed è stata realizzata la scuola media unica.Abbiamo assistito a una fase che potremmo definire di euforia scolastica. Non solo gli insegnanti si son fatti ricercatori di metodi e sperimentatori di pratiche, non solo c’è stata una fase di consenso generale nei confronti della scuola pubblica, ma non c’è stata famiglia che non abbia voluto fortemente l’istruzione per i figli, magari fino alla laurea.Studiare significava crescere socialmente ed economicamente, e le case delle famiglie più semplici mettevano in evidenza, in piccoli scaffali, le raccolte delle enciclopedie acquistate a rate. (Ricordi che suscitano tenerezza in chi ha vissuto quei tempi, seppure bambino.)

Oggi, da più parti, si levano invece motivate opinioni di coloro che lamentano il fallimento (vero, parzialmente vero, presunto) dell’istruzione di massa e, soprattutto, prevalgono con insistenza e impatto mediatico di grande effetto, le teorie dell’eccellenza, del merito e della meritocrazia.
Si organizzano manifestazioni nazionali che premiano i talenti, anche nello studio. Si celebra l’esame di stato ottenuto con il massimo dei voti e la lode, recentemente istituita. Nella realtà dei fatti è inevitabile e naturale registrare che non tutti i ragazzi abbiano lo stesso talento e possano ottenere lo stesso livello nei risultati scolastici; infatti non soltanto registriamo un aumento dell’abbandono, ma constatiamo sovente che un risultato positivo può essere durevole o fragile e, passando da un ordine degli studi ad un altro fino all’Università i successi si diradano.Ma tutto questo è sufficiente a farci dire che l’istruzione non è per tutti? In realtà è probabilmente l’istruzione omologante a non essere per tutti. In realtà è applicare per tutti lo stesso metodo e gli stessi processi di apprendimento che crea l’esclusione. Spesso si proclama il valore della differenza quando si applica ad ambiti graditi o che ci risolvono i problemi, ma stentiamo ad accettarlo quando si parla dell’altro intendendo tutti gli altri. La scuola è in grado di accogliere e di prendersi cura, allo stesso modo di bambini, ragazzi, adolescenti in fase di ribellione, studenti con modalità di apprendimento diverse, ragazzi problematici?

Nel campo dell’educazione i tempi non sono automatici e i risultati nemmeno. Non vale il proverbio che il buon giorno si vede dal mattino, casomai si dovrebbero applicare i proverbi dell’agricoltura (ne cito uno pescato tra i tanti) : La ricchezza del contadino sta nelle braccia e chi ne vuole se ne faccia.” il che significa processi lunghi, costante impegno, flessibilità, capacità di relazionarsi con l’altro anche riscrivendo un programma o un piano di lavoro a misura della realtà classe.
Alcuni insegnanti lo fanno. Probabilmente la messa in pratica dell’idea dell’alfabetizzazione di massa è stata condotta anche velleitariamente ed è anche vero che non tutto è andato bene. Ma rinunciare all’idea di riconoscere il diritto allo studio come una garanzia proposta dalla Costituzione è una doppia grave sconfitta.
Infatti  se l’accettiamo noi rinunciamo non solo a perseguire all’obbiettivo di garantire il diritto allo studio, ma anche all’opportunità di usare un importante strumento culturale che può affrontare e risolvere in modo equo e qualificante il problema dell’integrazione multiculturale non solo delle ragazzi di seconda generazione, ma anche degli adulti immigrati o, per dir meglio, migranti. Rinunceremmo altresì a creare strumenti culturale avversi e strategicamente efficaci contro questa devastante crisi di sistema (economica e culturale)  che non sarà risolta senza la partecipazione dei giovani, dei nuovi cittadini, di tutti. Insegnanti compresi. Ogni istituzione oggi è chiamata a rispondere della sua utilità in termini di bilancio. E’ inevitabile in tempo di crisi, ma dovrebbe esserlo sempre.
Perché dobbiamo lottare per la scuola pubblica? Non per alzare sterili grida o vani lamenti su retribuzioni, orari, riconoscimento sociale; ma perché lottare significa anche andare avanti, incamminarsi verso nuove strade. Lottare significa anche fare ricerca, individuare strumenti, sperimentare e verificare percorsi. Alcuni di noi sono nella scuola come insegnanti, dirigenti, formatori. Altri lo sono come studenti, altri desidererebbero aggiornarsi sia in campo professionale sia imparando la lingua. Tutti costoro sono, come evidente, parti in causa. E nel frattempo non possiamo, non dobbiamo pensare che chi ha terminato dei suoi studi, possa dimenticare la scuola. Possiamo infatti chiudere una fase, ma la scuola non ci lascerà; la scuola è dentro di noi. Purtroppo può accadere che lasci tracce negative, ma non è sempre così. Chi si esprime con amarezza ha certamente buone ragioni. Ma la riflessione e la proposta su questi temi è, dev’essere a mio avviso, sociale e non individuale.

Note non a margine
1: Quando ci si interroga tra insegnanti chiedendoci – come fare ad appassionare gli studenti ad argomenti “ostici”, come destare l’interesse che non c’è – dovremmo mettere in discussione gli argomenti, noi stessi, altri fattori o cosa? La questione è cruciale e… “ostica”.
2: Il precariato quanto incide sulla qualità dell’insegnamento?