Archivi del mese: giugno 2011

Democrazia e distribuzione della ricchezza – Apologo di Mariaserena Peterlin

Gatti Petritoli 24

Apologhetto del gatto
 
Tre gatti ed un piattino
di formaggio a pezzetti,
divorano appagati
leccando naso e baffi.
Adesso il piatto è vuoto
ed ognuno saziato.
 
Se invece dentro al piatto
avessero trovato
un pezzo unico e grosso
certo l’avrebbe preso,
tutto per sè,
il micio prepotente,
quello più forte e grasso
dell’ingiustizia esperto
che gli altri, con due soffi,
avrebbe ben scacciato.
 
Ecco cosa dimostra
che la democrazia
o la difendi prima,
e l’organizzi a modo,
o basta un gatto grosso
a prosciugare il… brodo.

Poesia del tempo del grano

..

Cantano le cicale nel tempo del grano
 
Se sordo è il canto, e la cicala assidua
assorbe l’aria mentre il sole sale
non chiederti il perché e non cercare
dove finisce il tempo quando passa.
 
Speravi avere tempo, e rimandavi
sicura che un tesoro accumulato
domani avresti certo ritrovato
e speso a mani aperte e illimitate.
 
Non è così, ma la cicala canta
e il tempo passa e sfugge dalle dita.
Ecco il presente, non lasciarlo andare
ma assaporalo piano come un frutto
 
e dopo, lento, leccati le dita.
Porti il tesoro dentro al cuore
tutto: ricordi, amore, vita, tempo perso
e lascia che vi penetri anche il sole.

 

Non un batterio, ma una mentalità killer può distruggerci – di Mariaserena Peterlin

Una mentalità killer.

Ecco cosa ci distruggerà: non un batterio, ma una mentalità killer: autoreferenziale, egoista e che rigenera se stessa per gemmazione. E genera persone-pattume ossia da gettare.
I sintomi? Evidenti in chi ne è colpito. La sindrome della mentalità killer è contratta quando si è troppo preoccupati per se stessi, troppo attesi ad ottenere gratificazioni, troppo assillati a che un vantaggio non sfugga, troppo immersi nella dimensione personale, troppo poco generosi. Troppo. E di questi troppo potremmo aggiungere tanti altri.
Siamo diventati costruttori di ponti levatoi, progettisti di autopromozione, accumulatori di gratificazioni personali, aedi di autocommiserazione o autocelebrazione, raccoglitori di simpatie contro.
La malattia raggiunge uno stadio avanzato quando accade che, se qualcosa non piace o va male, si è talmente troppo assorti a cercar di dare responsabilità agli altri che ci si auto legittima al chi se ne frega,io penso per me.
C’è, come sempre, chi approfitta della situazione.
Per far solo un esempio ne approfittano le agenzie della pubblicità pronte a somministrare una terapia placebo che fa in modo che si possa ascoltare senza nessun sussulto frasi-spot come “perché io valgo” (e gli altri no?), “perché il lusso è un diritto” (per chi?), “tutto intorno a te” (e al prossimo i resti?).
 
Nella fase terminale della mentalità killer non si perde la vita, ma si perde il nostro essere umani, si perde l’anima naturale in dote alla nostra umanità; questa perdita è evidente quando ci si comporta dissennatamente con i più piccoli e i più giovani.
E’ allora che si decide che, prima dei figli o dei ragazzi che ci sono affidati, veniamo noi con tutte le nostre esigenze.
E’ in questa fase che si stabilisce che il bambino abbia tutto, ma poi lo si abbandona e dimentica in automobile perché si hanno impegni prioritari in testa; nei casi un po’ meno gravi (ma comunque avanzati) lo si scarrozza su e giù per le corsie dei centri commerciali o lo si scorda al recinto del parco giochi invece di badarlo lasciandolo, però, giocare con amici da lui medesimo scelti liberamente; oppure preferiamo inquadrarlo in attività o in feste organizzate in cui gli amichetti/e sono selezionati da noi oculatamente: ad  uno ad uno.
 
Ecco cosa siamo diventati. Uomini fummo ed or siam fatti egoisti ed individualisti.
Molti genitori si considerano bravi quando abbondano in autostima “perché noi valiamo”.
Molti insegnanti si reputano egregi quando progettano qualcosa che li metta in evidenza presso la gerarchia scolastica o il territorio circostante che, come un vero feudo, sta “tutto intorno a te”.
 
Non è così che si costruisce un futuro migliore. Non è così che cambieremo questa società, della quale inanemente  ci lamentiamo, ma che coltiviamo ottusamente.
 
Però io sono ottimista. Credo molto nelle generazioni dei giovanissimi che hanno cominciato a gridare “Che palle! lasciateci stare!”
Ecco loro forse sì. Con loro le cose cambieranno.
 
Ma nel frattempo il pattume rimane pattume.
E sarebbe bene cominciare a dirlo chiaramente prima di esserne contagiati.
 
 

Giusto ribellarsi se la scuola non funziona – di Mariaserena Peterlin

La scuola non dev'essere questo.

Ci sono tanti buoni motivi per dire che esiste una scuola che funziona. È tuttavia necessario anche riconoscere che non tutta la scuola funziona. Le lamentele esterne (di una parte dell’opinione pubblica) le conosciamo altrettanto bene delle difese, più o meno d’ufficio, interne (degli addetti ai lavori).
Quando l’anno scolastico va concludendosi e si arriva alla stretta finale allora i due fronti sono più agguerriti e ostili del solito.
Non intendo prender partito.
Vorrei, ancora una volta, sottolineare che la posta in gioco è talmente delicata e importante che l’irrigidirsi dei contendenti in posizioni avverse ed ostili ha lo stesso effetto di un duello in un museo di porcellane.
Parlo di museo perché l’attuale istituzione scolastica ormai è troppo spesso paragonabile a una fondazione museale dove si conserva il passato, si restaurano vecchi reperti (didattici) e si esibiscono documenti o testimonianze di virtù ottocentesche del tutto inattuali che, in apposite teche vetrate e custodite gelosamente, possono solo essere visionate dall’esterno.
Ma mentre il museo scuola esibisce le sue prassi gelosamente custodite la cosiddetta utenza scalpita oppure si adegua. Chi si adegua accetta ed è accettato, chi scalpita, invece, lo fa a suo rischio e pericolo.
 
Detto questo, e francamente non mi sento di continuare un discorso anche troppo noto, rimane almeno un evidente assurdità su cui la scuola, se vuole funzionare, deve necessariamente riflettere: la scuola non funziona se è solo una vetrina (o teca allarmata) di docenti intoccabili. Unicuique suum? Verissimo: a ciascuno il suo (mestiere), ma si dà il caso che il mestiere di educatore non sia quello dell’artista; e per essere svolto utilmente ha bisogno di interrelazione.
Invece c’è una consistente parte di scuola che si ostina nella pratica dell’autoreferenzialità gemente o sentenziante a seconda dei casi e, nonostante le apparenze, è sostanzialmente gelminesca: Questa è la scuola che non funziona, in cui i docenti si trovano bene “tra di loro”, non dialogano con i genitori, che non costruiscono un quotidiano dialogo coi ragazzi e soprattutto non si lasciano contaminare dalla realtà viva e dal suo risuonare.
Questa scuola che non funziona induce, infatti, a scrivere in bacheca su fB a ragazzi bravi, curiosi, intellettualmente vivi e intelligenti (che conosco personalmente come tali, ma di cui non metto il nome per ovvi motivi)
 
..a me la scuola NON mancherà, neanche dopo 3 mesi di vacanze!!!!
 
… e basta, E BASTA CON QUESTE INTERROGAZIONI A MANETTA!! LASCIATECI VIVERE, PORCA EVA!!! voglio andare al mare, non voglio stare chiusa in un aula a sciogliermi dal caldo come un ghiacciolo!!!
 
Non sono frasi scritte da somari per i quali si chiede se “ Per te è giusto bocciare chi va male a scuola?” (come recita un “divertente” test che gira in questi giorni su fb) ma sono frasi che ci dovrebbero instillare dei dubbi, e far chiedere invece se sia giusto il modo in cui questa scuola valuta, e se sia giusto considerare la valutazione come un elemento dominante nel processo educativo. Io ho i miei dubbi.