Archivi del mese: marzo 2011

Parole in gioco e allo specchio – di Mariaserena Peterlin

Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio.
 
 
Scrivere è dare un senso alle parole
giocando a "io sono il re e tu sei il cavallo",
fingendosi un eroe, un navigatore
un principe, un serpente oppure un gallo.
Scrivere è immaginare di capire
che il recto e il verso sono disuguali
ed ancora è aver voglia di scoprire
la fine, sempre prima dei finali.
Immaginando con le tue parole
componi frasi come note in fila:
trovane i suoni e troverai anche il senso
non uno, ma due…centottantamila.
 
 
Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio,
rivoltarle e piegarle da ogni lato
bagnandole di lacrime e di pioggia.
E’ poi asciugarle con polvere solare
per scoprire le tracce che hai nel cuore,
ma trovi gli echi che non ricordavi.
Le togli dalle labbra e sulla carta
riscopri il suono delle più dimesse.
Immagina e vedrai, camere oscure
dove il colore audaci scherzi gioca.
Scrivi parole, senza aver paura

NO GUERRA – messaggio di Mariaserena Peterlin

Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

I padri costituenti sono stati illuminati e saggi quando hanno scritto l’articolo 11 che dà, come molti altri, prestigio alla nostra Carta Costituzionale. L’hanno scritto ispirati e forti di una coscienza plasmata anche dalla comune tragedia della II guerra mondiale e delle sue lunghe e terribili conseguenze pagate con il sangue di troppe vite umane.
Quella tragedia li aveva, come sappiamo, profondamente coinvolti, aveva segnato per sempre le loro vite personali ma anche quelle dei popoli trascinati nel conflitto.
Lungi, infatti, dall’ideare un libro dei desideri, hanno scritto dando voce e anima anche a quei nostri morti (i morti sono sempre di tutti) che ci ammoniscono ancora.
Leggendo l’Articolo 11 non si ascoltano dunque solo le buone e oneste voci di maestri di vita, ma dovremmo sentire invece la voce di chi ha pagato, innocente, o di chi ha provato cosa significa la disperazione assoluta della guerra.
Eppure noi non li stiamo ascoltando.
Ma opporsi alla guerra è necessario.
Le ragioni di chi ha voluto l’attacco sulla Libia sono tante, ma la guerra non si evita cercando di prevalere con altrettante, più o meno forti, ragioni.
La guerra, come ci hanno insegnato i padri della Costituzione della Repubblica Italiana, deve essere evitata ripudiandola, ossia rifiutandola per un principio che è baluardo di civiltà.
Dobbiamo evitarla e trovare gli strumenti per farlo. Dovremmo accorgerci dell’inganno nascosto dietro la falsa soluzione dell’entrata in guerra.
Sappiamo che l’inutile strage, non risolve le controversie internazionali, ma le estende; che sconvolge equilibri imperfetti, ma ne crea altri altrettanto imperfetti; che i vinti non si pacificheranno e che gli eventuali vincitori non scamperanno alle vendette.
Sappiamo che non saranno i popoli a giovarsi della guerra e che i nostri figli (anche i figli dobbiamo sentirli di tutti) possono essere tra i giustizieri come tra le vittime. Perché accettare tutto questo?
Sappiamo che si decide di iniziare un conflitto a tavolino, ma che si chiude (seppure lo si chiude) contando i morti.
Perché dobbiamo ancora una volta subire le logiche dell’interesse, dell’intolleranza, dell’ingiustizia, del razzismo, del massacro e non attuare vie diplomatiche?
Perché rinneghiamo la voce della nostra Costituzione?
Ma se la ragione non è ascoltata proviamo ad ascoltare la voce delle vittime, una voce  che parla al cuore. O alcuni uomini non ha più nemmeno cuore?
Noi lo abbiamo. 

Mariaserena Peterlin 20 marzo 2011

Siam pronti alla morte l'Italia chiamò? di Mariaserena Peterlin

Nel fervore patriottico-nazionale suscitato in Italia dalle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità del suo territorio radunato, tra moti di indipendenza, guerre di conquista, insurrezioni e annessioni, sotto lo scettro monarchico del Re galantuomo Vittorio Emanuele II Savoia, abbiamo ascoltato e riascoltato l’Inno di Mameli, o Inno d’Italia come ormai abitualmente si definisce.
L’Inno è stato modulato con nu pocolillo ‘e voce commossa nella performance sanremese di un noto comico toscano, è stato anche rappato da Fiorello (in altro spazio tv), ed anche declamato e spiegato da musicologi e storici del Risorgimento, ma non solo.
Ha rappresentato un metro di valutazione della fede di italianità e di educazione civica di persone (di una certa sociale importanza). Le sopracciglia italiane si sono aggrottate in sù a proposito di interrogativi fondamentali:  il calciatore X lo ha cantato? e la sindaco Moratti? e… i leghisti lo canteranno? 

Bossi no, ma si è alzato in piedi ed ha applaudito. Sollievo.
Insomma ma ‘ndò haway se l’inno non lo canterai? 
Nel frattempo molti bravi italiani si sono spolmonati, tra manifestazioni piovigginose, ma piene di fervore,  fuochi d’artificio o imbandieramenti di edifici.
Ho visto, inquadrate in tv, persone di tutte le età: anche bambini, innocenti, che convinti ed allegri-commossi cantavano con la mano sul cuore: “che schiava di Roma Iddio la creò”.
Più di tutti mi ha colpito un gruppo di signore d’età,  mamme e nonne, vestite con tutta semplicità, donne con le loro belle facce naturali (di quelle che si dedicano agli altri, alla famiglia e al lavoro da sempre; di quelle ancora capaci di mandare avanti la vita) ebbene anche loro con la mano sul cuore cantavano.
Cantavano versi stentorei “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte / siam pronti alla morte / L’Italia chiamò!  SÌ !!
Faccio fatica ad esultare. 

Certo, tutto ha una logica: la rievocazione storica, la festa per l’unità nazionale sviluppata, dalla pubblica opinione, anche in chiave anti-leghista, il messaggio che cerca di dar vita ad un'Italia nuova e ripulita dalle anomalie: capisco tutto. 

Ma non mi sento particolarmente commossa. Rispetto le opinioni anche se non possiamo nasconderci che uno studio più attento della nostra storia potrebbe indurre a moderate riflessioni.
Mi chiedo tuttavia se siamo davvero tutti convinti, anche in considerazione dei recenti lutti nelle missioni all'estero, e tenendo conto della situazione del Mediterraneo (che potrebbe diventare teatro di una guerra che, come tutte le guerre si sa quando inizia ma non si sa se e quando e come finisce)  se davvero tutti noi possiamo spensieratamente cantare “siam pronti alla morte, l’Italia chiamò” (e cancellare l’Italia che ripudia la guerra, l’Italia pacifica eccetera eccetera, non ne parlo, non so a chi interessi ancora).
Possiamo cantare “siam pronti alla morte”, e dirci convinti di una guerra e della morte guardando negli occhi i nostri figli? 
Non nel mio nome. Per piccolo che sia.

GIAPPONE, marzo 2011 – di Mariaserena Peterlin

PER VOI, CHE DALLO SCHERMO VEDETE

 
No, non scrutate i loro visi 
né fissate con occhi sorpresi
per cercare le tracce
di un dolore esibito.

L’ipocrita sorpresa
non vi colga a fissare
le mandorle asciutte
o il respiro mascherato
e costretto
da bende polverose.

No, non è un film,
non è un game o un reality
trastullo di menti annoiate.

Uno è il dolore del  mondo
a che il mondo sia uno.

ho messo il mio cuore
vicino al vostro cuore (*)”:
esile speranza di sollievo
unica possibile, adesso.

———
(*) la frase è di Papa Giovanni XXIII