Archivi del mese: dicembre 2010

Messaggio di fine d'anno. CITTADINI, DIETROFRONT ! di Mariaserena Peterlin

 
Come festeggeremo?
I botti no; esercizio pericoloso.
E bottiglie, lampadine o la roba vecchia da gettare dalle finestre? Vietato davvero. Una vecchia pratica incivile, del resto abbiamo già le discariche traboccanti.
Ci si butta a bere? Ma no, anzi il meno possibile.
Viaggi? Quelli sì, a patto che ci piaccia piace gozzovigliare in sacco a pelo nei terminal di qualche aeroporto congelato.
Regali? Forse… riciclare le mutande rosse degli anni scorsi. Tanto non le mette quasi  nessuno e basta scegliere sempre la taglia unica.
 
Dimentico qualcosa? Come no: lenticchie turche e cotechino di maiale a sei zampe importato dall’est europeo: una autentica sciccheria per palati fini. (Ops: “ff…Fini ?!?” Help! no! Ovvio. Pussa via!)
 
Italiani di terra di mare e dell’aria: ci siamo rotti le scatole oppure ne volete ancora?
Veramente un dettaglio ci sarebbe; il 2011 si annuncia in salita. Lo snocciolano, con ansante metafora, i media: ci attendono oltre 1000 euro di aumento annui per famiglia (già ricordiamoci anche della famiglia visto che si tratta di pagare).
 
In tutto ciò come tralasciare un’aurea frase dell’emozionante messaggio pronunciato in conferenza stampa dalla soave-suadente-paterna voce del premier alla vigilia del Santo Natale? Egli non ci ha forse ammonito (proprio da buon padre di famiglia) che
“In India il costo del lavoro è meno di un dollaro l’ora, per la precisione 98 centesimi, e l’Europa deve adeguarsi”?
Faccio il conto della serva. A occhio e croce (soprattutto a croce) ci dovremmo aspettare di scivolare a paghe mensili da 300 euro al mese? Slurp! Anzi, doppio slurp.
 
E nessuno si è levato a chieder conto di questo scenario, e nemmeno un sopracciglio si è aggrottato. Si vabbè qualche ex comunista dei soliti, di quelli ancora di sinistra e rompiscatole ha eccipito, ma quelli chi li intervista? Infatti i giornalisti presenti in conferenza stampa hanno incassato compunti.
Del resto è naturale visto che hanno riprecipitato alle condizioni sociali del seicento: notoriamente secolo sudicio e sfarzoso. Per reagire dovremmo ricominciare dalle ottocentesche
Trade unions ? E' possibile. 
 
Appare chiaramente che (e vado a semplificare) quelli che governano il nostro mondo, e non solo l’Italia, hanno spezzato e spazzato via una rete sociale faticosamente costruita, virtuosa, fatta di gesti quotidiani, di lavoro, di crescita personale, di mani che si stringono, di cuori che si parlano, di teste che pensano, di progettualità, di ricerca, di sviluppo, di promozione per le giovani generazioni a venire.
Hanno lanciato sui nostri passi di lavoratori le iene della concorrenza, della competizione, delle piccole ambizioni personali del miope tornaconto. E le iene hanno fatto bene il loro lavoro: ci hanno raggiunto.
Man mano le coscienze si spengono assopite e assorbire da cocktail del tipo divano+immagini et similia.
Insomma hanno seminato l’ignoranza ed è cresciuta, rigogliosa ed infestante, l’indifferente passività di molti e la furbizia di pochi.
 
Ma via! Basta con le amarezze! E’ capodanno! Avanti coi brindisi degli spumanti.
Forza Italia! Stringi i denti ma preparati ad allacciarti di nuovo i calzoni con lo spago. Nel frattempo indébitati fino al collo perché la Cina, lo sapevamo, è vicina; ma l’India è qui dietro l’angolo. 89 centesimi all’ora non ci saranno negati.
Alleniamoci alla miseria rilassandoci, per chi vuole, a botte di new age.
Potrebbe essere utile.
 
Come festeggeremo dunque? Qualcosa c’è. Auguriamoci reciprocamente la fine di questa nebbia che ottenebra le menti e la nascita di una buona vista chiara e tagliente per il domani.
 
Nel frattempo rimangono, inoltre, gli affetti e l’amore da coltivare, e la convinzione che valga la pena di lottare con passione per l’essere umano che anima questo nostro corpo assediato da vacui desideri, ma anche da reali bisogni di tanti tipi.
Cose che non costano nulla, ma potrebbero farci sentire migliori. E sarà comunque luce dentro di noi.

Leva calcistica Anni 80 da una foto di Giuseppe Comitini –

ATTIVITA' AL CAMPETTO ANNO 1983/84 Scuola Sportiva DEPA – Palermo (Italy) 

(riflessione ispirata da una foto incontrata su fB)

 
Sedici bambini schierati in riga una ordinata ai lati di un maestro, otto a destra e otto a sinistra: due piccole squadre, ma sarebbe meglio dire due squadre, di quelle serie, proprio perché costituita da piccoli giocatori consapevoli dell’importanza di quello che stanno per fare: giocare una bella partita.
La convinzione e la felicità è scritta nei loro visi.
Insomma sedici bambini e un maestro in un’unica riga, un campetto in terra battuta e la palla al centro, posata sul disco bianco. Le gambe pronte a correre, infatti il maestro ha già il fischietto in bocca.
I bambini sono vestiti bene, ma senza esibizionismo; le gambette sottili abbronzate, i capelli neri o castani sono felicemente pettinati o spettinati, ma senza crestine né strane fogge da piccolo manichino.
Ragazzini schietti. Ragazzini di quelli dalla fantasia libera ed aperta, senza limiti, al sogno: ed il sogno in quel momento è il più bello che si possa sognare: una partita da giocare insieme, e un bravo maestro: una presenza che vigila su loro, un punto fermo in un orizzonte sconfinato.
 
Eppure intorno ci sono mura tirate su senza pretese, eppure il campo è bordato da erbacce.
Ma quei bambini hanno sette-otto anni, e la cornice del loro gioco non la vedono nemmeno.
I piedi fremono nelle scarpette, pronti a correre ed è questo che conta.

Per loro il gioco è proprio questo: correre per conquistare il pallore e competere sfidandosi in inseguimenti, brevi scontri, velocità, movimento. Tutti insieme.
E c’è un insegnante. È vestito semplicemente, come loro, ha solo i pantaloni più lunghi e il fischietto in bocca, ma i suoi occhi e il suo slancio vanno nella stessa direzione di quei ragazzini dalle gambette sottili e abbronzate e dai capelli liberi e senza gel. Le sua mani posate sulle spalle dei ragazzi più vicini a lui sembrano proteggerli e sospingerli insieme.
Un gesto che assomiglia a quello che si compie quando capita di raccogliere una rondine rimasta prigioniera o impigliata, e per poterla liberare la si tiene nella mano semiaperta pronti a lanciarla verso il cielo perché prenda il volo.
 
Questa foto, essenziale ma ricca di significato, mi ha colpito e commossa.
E’ un emblema che contiene tutto quello che serve per crescere ed educare i nostri figli: occorre un bravo insegnante, un Maestro con la maiuscola, che abbia a cuore i suoi ragazzini; senza tanti orpelli o misticismi sulla valutazione, senza tecnicismi e didattichese o la sperimentazione astratta su modelli inesistenti, senza il progettare percorsi formativi che poco hanno a che vedere con la realtà.
Un Maestro con poche regole chiare (il fischietto in bocca) e le sue mani saldamente posate sulle piccole spalle, ma pronte ad aprirsi per favorire il loro volo.
Un Maestro che può anche sbagliare, ma si mette in gioco perché gioca con loro e detta poche regole, ma spiegate e condivise.
E la rotta per il volo che sta per iniziare, d’altronde, è già scritta in quegli occhi neri, in quei capelli bruni di ragazzini dalle sottili con gambette nervose ed abbronzate e pronti a correre correre correre.
 
Cos’altro può servire?
 
Nota a margine. Tutto ciò che ho scritto nasce esclusivamente dalla foto pubblicata su fB da Giuseppe Comitini. Su Web capitano queste cose, è un bel modo per sentirsi ancora esseri umani.

natale

 

 

Web di opinione, esibizionismo o violenza telematica? di Mariaserena Peterlin

… con l becco sporca di fango…

Scrivo una nota brevissima che nasce da una mia lettura-esplorazione di alcuni blog piuttosto frequentati e che potremmo definire di opinione, ma invece del confronto cercano l’esibizione o la prevaricazione.
Non discuto le idee  di nessuno, e non c’è bisogno di spiegarne ogni volta il perché ricominciando dai fondamentali.
Detto per inciso non discuto nemmeno di netiquette perché mi sembra che la solita buona educazione basti ed avanzi e la netiquette sia solo un paracarro snobistico altrettanto ingombrante quanto inutile, tra persone civili, del cosiddetto off topic.
E’ inutile sventagliare piume di struzzo nel vantare e difendere (questa è solo la mia opinione personale) la potenzialità della rete se poi ci si arrocca dietro a regolismi che si inalberano su formali pretesti.
Se da un argomento ne nasce un altro perché irrigidirsi sull’off topic ?
E se uno si mette in rete, e quindi si espone alla piena visibilità, perché vuole che ci si regoli secondo delle etichette comunicative (sempre fatta salva l’educazione) che non sarebbe in grado di imporre in nessun altro ambito, condominio compreso? 

Ciò detto la questione è la seguente.

Leggo, come dicevo, su web interventi di opinione e trovo che spesso lo scopo dei post (o addirittura il cosiddetto “questo blog nasce per” ) non è comunicare, ma lanciare invettive e reprimende, anatemi e predicozzi vanesi, critiche ossessive e malevole contro veri e propri bersagli: e questi bersagli sono le idee altrui o le persone.
Ma a che serve tanto livore?
A chi giova,  l’attacco (preferibilmente in branco) contro avversari che magari nemmeno leggono questo genere di performance, ma scrivono e continuano ad esprimere le loro idee?

Insomma quale utilità o vantaggio nascerebbe, e per chi nascerebbe, da uno spazio web sostanzialmente aggressivo in senso gallinaceo, bellicoso e non dialogante?

No, non sto pensando a qualcuno in particolare, penso piuttosto al clima abbastanza diffuso, ad un modo di stare in rete snobistico.
Penso a quelli che presumono di poter giudicare dall’alto e con aria di superiorità e trinciano giudizi come se tagliassero la siepe di casa loro ma si ammantano, per l’appunto, di una superiorità molto opinabile e che, fuori da quella siepe, altro non è aria fritta o al massimo può dare fastidio o offendere.

Per questo mi chiedo: non sarebbe meglio per tutti esprimersi ed argomentare vivacemente e razionalmente ma astenersi dalla logica del branco telematico che nasconde la testa sotto la sabbia quando deve osservare se stesso ma usa per il peggio uno strumento degno di ben altre utilità quando parla di altri?