In tempi diversi o forse in diverse culture il condividere qualcosa di scritto, o anche solo detto, avrebbe un sigillo di verità garantito anche e soprattutto, dall’onore di chi pronuncia, scrive, detta o pubblica. Essere smentiti dalle evidenze e dai fatti o tentare di ingannare è, ed è sempre stato, innanzitutto qualcosa che toglie per sempre credibilità.
In realtà e culture diverse da quella in cui siamo immersi non sarebbero, come attualmente sono, così normali l’abitudine al piacimento esteriore o la disinvolta pratica dell’uso delle persone e della strumentalizzazione delle idee e, peggio, dei sentimenti.
In realtà il fenomeno non sarebbe tanto preoccupante o indegno in sé se non fosse evidente che l’ambizione personale è direttamente proporzionale all’effetto che si vuole ottenere. Si coniano slogan e proclami, si stilano programmi, si lanciano notizie-effetto non per diffondere idee e metterle a confronto, bensì per colpire, coinvolgere, fare vuoto clamore, ottenere visibilità e possibilmente un qualche potere o almeno una compartecipazione di potere.
Se poi quello che si afferma pubblicamente con enfasi (in varia quantità) è solo un involucro, se quello che si confida amichevolmente (con varia intensità) è solo strategia, pochi ormai se ne stupiscono o se ne indignano; forse perché la favola del bue e la rana è ancora sufficientemente nota.